Il vigneto.
Ottenuto da uve: Chardonnay 100%
Vigneto: Terrazzato, da 150 a 350 metri sul livello del mare
Sistema di allevamento: spalliera 1.70m per 0.9m (6500 viti a ha)
Terreno: calcareo – argilloso
Produzione: massimo 80ql./ha
Alcool:12.5 % in volume.
Affinamento: 6 mesi in botti di acciaio sulle proprie fecce prima del tiraggio seguito da18-22 mesi in bottiglia sui lieviti
Zuccheri residui: massimo 1.5 g/l
La degustazione:
Nel bicchiere si veste di un giallo paglierino con riflessi verdolini.
I profumi danzano su diversi livelli, da un mazzetto di fiori bianchi freschi raccolti nel campo, agli agrumi più acidi come cedro e pompelmo, fino a sentori più schiettamente minerali, derivanti da pietre e sassi di scogliera marina.
Come tutti i vini pregevoli, non si limita a mantenere le promesse fatte al naso, ma le amplia. Infatti in bocca è secco, garbatamente acido e meravigliosamente sapido, ma non salato. La percezione del salato nell’analisi gusto-olfattiva del vino sarebbe da considerarsi un difetto. Alle classiche sensazioni endemiche dei metodi classici, cioè panificazione in genere, di lievito in particolare, si alternano una sottile gamma di salmastri. Chiudendo gli occhi e lasciando libera la fantasia, ci si può ritrovare sulla banchina di un porto del Mediterraneo. Quello che preferite. Hanno tutti gli stessi odori.
Storia
Alla fine degli anni novanta, un poco più che ventenne Andrea Arici coadiuvato dalla sua famiglia, decide di recuperare alcuni vecchi vigneti terrazzati, abbandonati da anni. Siamo a Gussago, estremo est del territorio franciacortino. Le terrazze, ridotte a poco più che un ammasso di rovi, con gli antichi muri di sostenimento a secco ormai crollati per l’incessante avanzamento del tempo, vengono rimessi a nuovo grazie al meticoloso lavoro di Andrea e di suo padre Francesco, instancabile e mai domo lavoratore. Lo straordinario spirito contadino, nella sua più nobile declinazione, spinge Andrea a imbottigliare la sua prima partita di vino. Con la vendemmia del 2002 decide di destinare una piccola parte di quel vigneto alla produzione di una modesta quantità di vino, atto a divenire Franciacorta. Per questa nuova avventura, si avvale della collaborazione dell’enologo e amico Nico Danesi, il quale se pur molto giovane, vantava già un’esperienza come responsabile dei vigneti in una delle più famose e rinomate aziende Italiane. Dopo la prima fermentazione, l’incontro con Giovanni Arcari, un rappresentante di vini, lanciatosi in questo mondo per via di una forte spinta passionale per tutto ciò che era vino, mondo scoperto nel 1992 con sempre più crescente curiosità e mai più abbandonato. La degustazione di quella prima “base spumante” fu davvero entusiasmante. Sapidità e mineralità parevano fondersi con quel nerbo grasso ed elegante, il quale di abbandonare lingua e palato non ci pensava proprio. L’entusiasmo per quell’unicità era alle stelle da parte di tutti e tre. Decisero così di ‘tirare’ le prime bottiglie. Circa 900. I vini sono l’espressione di quel pezzo di terra, composta in prevalenza da calcare attivo in grado di essere straordinariamente drenante, capace di donare profonda mineralità e sapidità ai vini. Il progetto di Giovanni Arcari di valorizzazione e di salvaguardia delle piccole e preziose realtà vitivinicole, oggi è sempre più concreto e vede in Andrea l’unico vignaiolo che produce Franciacorta esclusivamente ‘non dosati’ (Dosaggio Zero) capaci di palesare le caratteristiche di quel terreno, lavorato quotidianamente da Lui con caparbia convinzione ed entusiasmo, nel pieno rispetto della natura ancora viva e rigogliosa attorno a quelle vigne.
Era la primavera 2010 quando Giovanni Arcari, venne a proporci alcuni Franciacorta di piccole aziende allora sconosciute. Discutemmo animatamente, ma infine ne scegliemmo due. Uno ordinato e composto, l’altro tutto genio e sregolatezza (il DZ di Arici). In quelle prime annate il sapido sfiorava, ma molto da vicino, il difetto del salato. Eppure una sapidità così marcata, la si può sentire o sullo scoglio della Tontonara a Laigueglia, oppure nei grandi champagne. Molto meglio avere qualcosa da imparare a gestire, piuttosto che dover creare artificialmente quello che non c’è.
La filosofia
“Il vino,con la sua tipologia di vitigno,deve sempre essere espressione di un territorio,di una cultura,di un pezzo di terra,di un cielo e di un uomo. Crediamo nel rispetto della terra e dell’uomo che ha deciso di coglierne i frutti con scrupolo e intelligenza. Crediamo nella nostra passione. Crediamo nel nostro lavoro.”
Il progetto Terra Uomo Cielo:
La terra, intesa come la vigna nella quale il produttore lavora. L’uomo, nella cui filosofia risiede il modo di interpretare le proprie uve con le loro peculiarità. Il cielo, inteso come il territorio, ovvero il filo conduttore di una cultura in ogni regione vinicola.
Fabrizio Buoli