Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Riserva Dino 2015 Filodivino
Almeno così doveva essere.
Chiedo scusa in anticipo ai 4 lettori, che perdono del tempo a leggere le parole che scrivo. Ho iniziato a creare la descrizione di un vino, ma come spesso mi accade, il pezzo che stavo scrivendo, si è animato ed ha deciso di seguire parabole non previste in origine. Rileggendo, mi pareva carino, e allora, ho deciso di lasciarlo così come era venuto.
Mi piacciono le aziende che rispettano la natura, sia nelle pratiche agronomiche, come nei lavori di cantina. E a maggior ragione adoro Filodivino e il suo enologo Matteo Chiucchioni, perché asseconda i capricci dell’annata, rispetto a quelli che si impongono su di essa. La segue e la ascolta, nelle sue peculiarità, nelle sue sfaccettature, nelle diverse pieghe, lasciandola libera di esprimersi.
Diverso dal 2014, dove dominavano profumi di miele e pasticceria secca, il Dino 2015 costeggia la riva degli eterei, per approdare tra i fiori e i minerali. Non serve molto per intuirne la classe e la futura deriva. Ne sono piacevolmente sorpreso, e dopo un primo momento di smarrimento, determinato da ciò che non mi aspetto, capisco che “m’è dolce naufragar in questo mare”.
Conosco, ma non capisco le logiche di mercato, per il quale bisognerebbe fare sempre lo stesso prodotto. Se il cliente si affeziona ad un vino, ogni anno l’azienda vorrebbe replicarlo, per mantenere il cliente fidelizzato. Forse fa parte della natura umana, questo spasmodico desiderio di raggiungere la perfezione. Di non accontentarsi mai di ciò che si scopre, e di migliorarsi sempre. Essendo consapevoli che raramente capita, eppure la brama, quando trova soddisfazione, immediatamente genera un ulteriore problema. Perché la perfezione è una meta raggiungibile, ma non superabile, di conseguenza il desiderio cambia necessariamente obiettivo e diventa quello di riprodurla. Ogni anno lo stesso vino, sempre uguale, per i secoli nei secoli. Infondo viviamo nell’epoca della riproducibilità, nella quale tutto è ricopiabile in milioni di esemplari uguali all’originale. La scienza sta investendo molte risorse nella clonazione di vegetali, animali e la prossima frontiera, nemmeno così tanto lontana, sarà quella delle emozioni. Allora perché stupirsi se gli enologi sono considerati delle Star, spesso osannati alla stessa stregua dei grandi Chef. Perché come gli Chef creano, aggiungendo qualcosa, togliendo qualcos’altro, raffreddano, riscaldano, ossigenano, microssigenano, chiarificano, solfitano etc, con un chiaro obiettivo da raggiungere: riprodurre il vino che ha raggiunto il massimo punteggio, e che il mercato ha divorato. Se la logica che li governa è questa, allora nessun mezzo è illecito. Conta solo il risultato.
Per fortuna non tutti sono così, non tutti hanno questa megalomania latente, che li spinge a volere riprodurre la propria “Mano” in tutti i vini che “Fanno”, a prescindere dai vitigni usati, dalla collocazione geografica e dall’annata.
Purtroppo viviamo anche nell’epoca del manicheismo applicato a qualsiasi campo. O rosso o blu, o di sinistra o di destra, o ladro o santo, o barrique o botte grande, o biologico o appestatore. E siccome non siamo mai stanchi di creare divisioni, divisioni delle divisioni e delle ulteriori divisioni, il biologico si è a sua volta diviso in biodinamico, che a sua volta si è diviso negli estremi e moderati. Dove quelli che si ritengono puristi molto spesso trascendono nell’esoterico. Esattamente come, altrettanto spesso utilizzano l’appartenenza alla setta degli eletti, per giustificare vini apertamente difettati, dove la brettanomiyces naviga come una petroliera nel lago d’Iseo: senza alcuna possibilità di passare inosservata. E tentano anche di convincerti, che è sempre stata lì e, che se dalle altre prospettive non si vede, è perché gli “Altri” utilizzano filtri, che la nascondono alla vista. E allora quella evidente incapacità di fare vino, quella ignoranza dilagante, diventa risorsa, diventa marketing. Così mi capita di sentir dire: “I nostri vini sono così (cioè puzzano di piedi, di sterco di vacca, di riduzione) perché noi non usiamo nessun trucco, perché noi facciamo il vino naturale, perché il nostro obiettivo è farlo come lo faceva il contadino”.
Tre cose.
- Il vino naturale non esiste, perché la natura produce frutti, cioè l’uva, non il vino. Il vino e l’alcool non esistono in natura. Il vino è il frutto di una trasformazione di cui è artefice l’uomo.
- Quale contadino? Quale contadino chiedo poi? Perché mio padre, che era contadino, faceva un Pigato senza “manegge”, da piangere dalla gioia, ma il suo vicino al contrario, faceva dell’aceto bianco, per essere gentili. Entrambi erano contadini, entrambi coltivavano per vivere, però al vicino venivano meglio i pomodori, di uva e vino. Quindi dire il vino del Contadino non vuol dire niente.
- La mia risposta, che chiude ogni discussione è sempre la stessa: Il Domaine de la Romanée Contì è completamente biodinamico, eppure i suoi vini sono i migliori al mondo e non hanno nessuna, ma proprio nessuna, di queste puzze.
Da quando l’etica è diventata un valore assoluto a discapito della qualità? Da quando è più importante che un vino sia accettabile dal punto di vista etico, piuttosto che da quello qualitativo?
Etica e qualità devono essere in sincronia, altrimenti non mi interessa affatto che non si usi nulla: il vino che puzza te lo bevi te.
Concludendo, amo il vino prodotto seguendo i dettami dell’agricoltura Biologica, adoro quelli che fanno biologico senza dirlo, perché facendolo per loro, generalmente sono i più sinceri e rigorosi. Tuttavia, senza regole, in un attimo il prato diventa giungla. Mi piace la biodinamica, quando però non cercano di convincermi, che il loro vino è buono perché ogni mattina pregano un’ora sulle botti. Sono cresciuto osservando i diversi effetti dell’alternanza della luna. Mia madre, da ottima ligure, non mi faceva nemmeno tagliare i capelli con la luna sbagliata.
Amo i vini ogni anno simili, ma ogni anno diversi. Perché Ambiente, Natura e Uomo sono tre fattori della stessa espressione. Sono tre fattori ogni anno diversi, e di conseguenza ogni anno… il risultato dev’essere diverso.
Perché il protagonista di questo favoloso romanzo è il vino, e non l’enologo che lo produce o che si occupa di vendita vino.
Fabrizio Buoli