Il Pigato e i suoi tre moschettieri – Parte 3

Biovio, Bruna e Alessandri.

Parte III

Aramis-Alessandri

Dopo Biovio e Bruna andiamo a conoscere l’azienda di Massimo Alessandri, il terzo moschettiere e dunque nel gioco dei paragoni, Aramis. Terzo solo nell’intreccio, nel racconto che ho voluto dare al percorso. Perché la Fabula, cioè l’ordine temporale naturale dei fatti, vorrebbe Alessandri per primo. Infatti Alessandri, è stato visitato nel mezzo dell’inverno appena trascorso. Ho preferito dare questa sequenza, perché ho voluto renderlo un viaggio unico tra i migliori produttori di Pigato, un viaggio che chiunque potrebbe fare. Partendo dall’uscita autostradale, tenendo come riferimento geografico il corso dell’Arroscia, fatto al contrario, cioè dalla foce all’origine, questa è la sequenza corretta.
Superata Ranzo, iniziamo a salire per strade strettissime tra fasce, i terrazzamenti in italiano, di ulivi. Ogni tanto a costellare un ipotetico cielo azzurro c’è qualche pianta di cachi a mo’ di stella. Se Van Gogh fosse passato di qui, li avrebbe cristallizzati, fissati per sempre in pennellate colorate. Passato, il vigneto “le Russeghine” dell’azienda Bruna a Borgo di Ranzo, troviamo le frazioni, Fantinone, Arma, Caneto e Costa Parrocchia. In quest’ultima c’è anche la cantina di Alessandri, invece per arrivare alle vigne bisogna salire ancora, fino alla frazione Bonfigliara a 360 s.l.m. dove ci sono i suoi migliori vigneti.
vigneti-alessandri-bonfigliara
La torretta, un antica costruzione a forma di torre che domina e vigila sull’intera vallata, ci ospiterà per la degustazione dei suoi vini.
L’azienda di Massimo Alessandri esprime vini concreti, fedeli e rappresentativi del terroirs. Vini che raccontano il territorio e non vini che raccontano l’enologo che li produce. Purtroppo l’epoca moderna vive ancora questa contrapposizione, e i Flyn wine maker, coloro che vorrebbero fare lo stesso vino in ogni posto del mondo e persino su Marte, sono ancora considerati da gran parte della critica dei semidei. Pertanto continueranno ad avere commesse, incidendo drasticamente sul costo di vendita, per produrre ovunque, lo stesso triste vino.
La differenza sostanziale sta proprio qui.
L’enologo, nella mia Weltanschauung è un servo della materia e del tempo. L’enologo, nella mia visione del mondo, è un padre affettuoso che asseconda le diverse passioni dei propri figli, li educa rimanendo nell’ombra, ed è felice quando raggiunta la maturità, esprimono loro stessi, seguendo la propria strada.
L’enologo nella prospettiva lontana da me, è un padre arrogante, che celebra se stesso in ogni suo figlio. E’ un padre presuntuoso, che vorrebbe clonare se stesso nel suo miglior figlio, per riproporlo (e riproporsi) sempre uguale nella storia. Ed il tempo è il nemico per antonomasia.
Naturalmente anche i proprietari delle aziende, che si affidano questi enologi volanti, hanno parte delle colpe, perché pagando parcelle “Pesanti”, pretendono, esigono, impongono il conseguimento di punteggi alti e la conquista dei premi. Soprattutto prima del tempo ragionevolmente necessario. Il tempo è il nemico estremo. Il tempo è quel orpello capriccioso che li separa dalla gloria, e dal rientro dell’investimento.
“Bisogna uscire…dobbiamo uscire” Così, siccome nel mondo contemporaneo chi comanda è chi paga… signori e signori, ecco a voi maghi del trucco.
I premi ed i riconoscimenti aumentano le richieste sul mercato, così le aziende stesse aumentano i prezzi di vendita dei vini premiati. Quindi alla resa dei conti chi paga davvero le parcelle dei maghi del trucco?
Esatto! Il consumatore finale, che risulta bis-fregato. Perché paga un prezzo non corrispondente alla qualità, e per un vino costruito da alchemici, prima al tecnigrafo e poi in cantina. Un vino finto.
Ma come si può pretendere di ripetere sempre lo stesso vino, per quanto possa essere “considerato” perfetto, quando ogni anno la natura si manifesta in modo diverso e per questo è stupendamente imperfetta?
Perché non viene compreso che è proprio la somma di queste imperfezioni a creare la bellezza assoluta. L’opera d’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica della stessa, perde fascino, proprio perché perde l’unicità nella sua manifestazione. Lo smarrimento che ho provato davanti a Il Violinista di Chagal allo Stedelijk Museum di Amsterdam non è riproducibile davanti a nessuna fotografia che lo raffiguri. Gran parte della sua bellezza sta nel fatto di essere unica.
Purtroppo anche in Liguria in generale, e in provincia di Imperia in particolare, ci sono aziende che, seguendo i capricci della moda, producono vini internazionali. Vini in apparenza senza difetti, ma anche senza emozioni. I vini sfacciati o come dice Hubert de Montille eminente produttore di Borgogna, i vini meretrice, quelli che ti vengono in contro proponendosi, ammiccando, e con tutto il rispetto per la professione, da evitare. I vini buoni, quelli che ti emozionano, sono sempre espressione di un territorio.
Ma noi abbiamo le nostre armi per difenderci. Noi non li compriamo e non li vendiamo.
Tornando ai vini buoni, dunque a Massimo Alessandri, il cortesissimo padre Luciano, ci ha aperto molte e molte bottiglie. Tuttavia, come per le altre due aziende, in questo contesto parleremo solo del Pigato.
RLP Pigato Costadevigne 2014 (86/100) Colore giallo paglierino, con venature verdi. Il colore, se ben interpretato, ci porta a pensare ad un vino rigido, di certo non lascivo. Al naso i fiori bianchi marcano con estrema finezza il contorno, e la pesca bianca con alcune erbe aromatiche colorano il centro. In bocca conferma le impressioni dagli occhi e dal naso, così sono le durezze ad imporsi. Con maniera certo, ma mineralità e acidità si impongono sulle morbidezze. Persistente il finale. Vino da bere mangiando, che accompagna davvero felicemente ogni piatto di pesce cucinato alla ligure. Esclusa la Buridda di stoccafisso, e le Buridde in genere (Zuppe di pesce).
RLP Pigato Vigne Veggie 2014 (88/100) Prodotto da una selezione di piante che hanno un‘eta di 40, 50 anni. Colore giallo paglierino, al naso ha belle sensazioni di frutta fresca, ed esprime maggiore complessità del fratello minore. Il fieno tagliato, i fiori di campo, e sul finire le note iodate di un mare che ora si vede lontano, ma un tempo così lontano non era. In bocca ha materia da vendere, in virtù della concentrazione derivante dal frutto da pianta vecchia. Eppure la linea sottile che marca tutti i vini di Alessandri, appare chiara. Le durezze prima di tutto. Le durezze danno prospettiva al vino. Le durezze aiutano a mangiare, nel senso che tattilmente inducono all’appetito, e aumentano le possibilità di concludere abbinamenti efficaci.
Tra chiacchiere, considerazioni ed analisi, Luciano, persuaso dalle suppliche di Nardo e Franco infila il verme del cavatappi, e libera l’ostruzione di un Vecchio Vigne Veggie.
E allora…Mambo.
RLP Pigato Vigne Veggie 2011 (91/100) Il colore giallo paglierino con toni che tendono all’oro. Al naso è incredibile per il grado di evoluzione, con misurata grazia. A voler dare un colore si passa dai bianchi ai gialli, e così la pesca è gialla, così come i mango, e l’albicocca di Valleggia, la migliore qualità d’albicocca al mondo, chiude il cerchio della frutta. I fiori sono di analogo colore, e la ginestra si mostra bella e rigogliosa. Anche la camomilla è presente, come in ogni Pigato di rispetto, che abbia riposato qualche anno. In bocca amplia le attese, già molto alte, e si conferma ad ogni costo degno di nota. La cremosità dei polialcoli disegna un profilo ricco di materia, sebbene le durezze dal canto loro, con mineralità in evidenza, opponendosi, portano al supremo equilibrio. Quello dell’armonia.
Di prepotenza entra nella mia personalissima classifica dei grandi Pigati, e dei grandi vini bianchi.
Terminata la degustazione, scendiamo per le anguste scale, le stesse che prima ci avevano portato alla sommità della torre, e ci inoltriamo tra i filari del vigneto.
torretta-bonfigliara
Osservo l’impostazione data dal tipo d’impianto, e dentro di me concludo essere guyot. Luciano intuendo i miei pensieri in dialetto mi dice:
–  U l’è u Scottu e Cadena. (E’ lo Scotto e Catena)
– U me pascieva u Guyot. (Mi sembrava il Guyot)
U l’è u meximo. Nuiautri a l’ammu d’aluntù ciamau cuscì. (E’ lo stesso, ma noi l’abbiamo sempre chiamato così)
Già perché esistono molti tipi diversi di allevamento della vite, che si sono affermati nelle diverse zone, per molti motivi differenti. Ultimamente in Europa e nel mondo, i due sistemi che hanno cannibalizzato gli altri, sono il Guyot e il Cordone speronato. Ma in Liguria, per contiguità territoriale, il sistema di allevamento è sempre stato il Guyot, qui chiamato appunto “Scotto e Catena”, dove lo scotto è lo speroncino che andrà a frutto l’anno successivo, e la catena, è il ramo dal quale nasceranno i tralci per la primavera in arrivo.
Con Alessandri concludo il viaggio tra i migliori produttori di Pigato. I Moschettieri li ho chiamati io, perché romanticamente mi piace immaginarli con la mano sull’elsa, pronti a sguainare la sciabola in difesa della qualità. Ci sono altri produttori…molti altri. Alcuni stanno crescendo positivamente, e per questo li stiamo osservando con attenzione. Alcuni hanno fatto la storia, però purtroppo adesso sono soltanto storia. Altri sono apertamente incapaci, perché non basta voler fare il vino buono, per farlo realmente buono. Poi ci sono quelli di cui ho scritto prima. Quelli, che producendo vini internazionali, ricevono riconoscimenti da guide e riviste del settore.
Sarò curioso, ma a me piacciono i vini che raccontano di un territorio. A me piacciono i vini che mi portano col pensiero al vigneto dove crescono, a ciò che si vede intorno. Mi piacciono i vini sinceri, e non quelli costruiti in laboratorio…pardon, cantina. E mi piace che ogni annata sia diversa.
Quindi non mi piacciono i vini di “Via del Campo”, dove a tutti si vende la stessa rosa
Fabrizio Buoli
 
Ringrazio Nardo Anselmo e Franco Demoro, per avermi accompagnato in tutti i viaggi, per avermi pazientemente sopportato e aiutato a comprendere.