Livia Fontana è parte della storia della viticoltura italiana.
Per avere un evento storico serve una persona, un luogo, in un certo momento, che compie un’azione. Un Fontana, di corporazione esile, e piccolo di statura, nel 1820 si sposta con tutta la famiglia a Castiglione Falletto, nella cascina, che da quel momento in poi, sarà denominata “Fontanin”. In ambito campagnolo, tutti hanno un soprannome, talvolta è per un aspetto del carattere, o una disposizione dell’animo, una provenienza diversa dalla maggioranza del luogo, o molto spesso per una caratteristica fisica, che può essere tanto negativa quanto positiva. Non c’è malizia e nessuna scienza che possa spiegare l’intricato arcano dell’assegnazione del soprannome, però tutti ne hanno uno.
In campagna si bada alla concretezza, e il soprannome aggiunge qualcosa, il nome no. Un Luca, può essere intraprendente, quanto indolente. Scintilla, molto probabilmente è una persona agile e scattante. Il professore è uno colto, lo Spantegau, è un disordinato, e il Fontanin è un Fontana minuto di corporatura.
Il nome ti viene dato quando ancora nessuno sa cosa diventerai, mentre il soprannome quanto ti stai formando, o ti sei costruito.
Così, raccontare di Livia Fontana, significa affrontare un pezzo della storia della viticoltura piemontese, e di conseguenza di quella italiana. Tutto iniziò 200 anni fa, ma è solo Il padre di Livia, Ettore, fu il primo a cercare con cura la qualità dei vini, e ad ottenere i primi ottimi risultati.
Livia gli è succeduta alla guida, ed è concretamente il presente, mentre i suoi figli saranno l’ottava generazione della stessa famiglia a coltivare gli identici vigneti.
La storia non sarebbe che un ramo secco, su di una mensola di una casa rustica, da osservare con distacco nelle giornate piovose d’Autunno. Dal passato si traggono esperienze che si trasformano in leggi, da applicare al presente, per migliorare il futuro.
Dal 1820 l’azienda di Livia coltiva gli stessi vigneti e produce il vino nella stessa cantina. La cantina è la medesima, ma la strumentazione, ovviamente, è efficiente e moderna. Pulita ed ordinata, riflette con precisione la costituzione dei vini.
Avere vigne proprie, che si coltivano direttamente, cantina accanto alle vigne, due tra i migliori Cru di tutta Italia, la conoscenza acquisita sul campo, ed ereditata, dalle generazioni precedenti, ci porta ad avere tutti gli elementi per fare un vino buono, mentre non sono sufficienti per produrre un grande vino.
Per fare un grande vino, oltre che vigna, cantina e conoscenza, serve ciò che Ettore ha insegnato a Livia, e lei ai suoi figli: umiltà, passione ed amore.
Amore per tutti gli aspetti del lavoro, dal più umile al più gratificante, affrontati con passione e dedizione con la quale applicarsi. Ascoltare la Natura, senza cercare di piegarla ai propri vantaggi. Entusiasmarsi per i successi, come accettare di poter commettere degli errori e di quelli farne tesoro. Questo è la via segreta che conduce ai vini grandi.
Lorenzo e Michele sono i suoi due figli: il primo è il responsabile commerciale mentre il secondo è l’agronomo e l’enologo. Dopo un periodo di consulenza di un enologo famoso ed affermato, Michele ha assunto l’onore e l’onere di fare le scelte enologiche. I risultati sono nel bicchiere da assaporare. Primi i vini erano buoni, adesso hanno personalità.
Coltivano principalmente i vitigni autoctoni piemontesi, Barbera e Nebbiolo, e con queste varietà fanno diversi vini, tutti non solo buoni, ma con una propria identità.
A partire dalla Barbera Fontanin, col frutto ricco e puntuale freschezza, per passare alla superiore dove alla classe del frutto si avvicinano le spezie, e una maggiore cremosità al palato. Col Re dei vitigni, ci propongono il Langhe Nebbiolo. Iniziamo dicendo che escono con un anno di ritardo rispetto alla stragrande maggioranza degli altri langaroli, a guadagno della valutazione complessiva, perché risulta maggiormente completo ed armonizzato tra le sue parti.
Degustato alla cieca si colloca sempre nei primi tre posti. Non serve descriverlo, se si può dire che in tutto per tutto è un piccolo Barolo.
Di Barolo abbiam parlato e con loro continuiamo.
Fontanin: pur essendo classificato come Barolo generico, in realtà ha l’uva quasi tutta coltivata nel Cru Mariondino, il vigneto che divide Villero da Bussia, Castiglione Falletto da Monforte d’Alba. La restante piccola parte proviene dalla vigna Serra del vigneto Villero. Oltre all’origine delle uve, ciò che davvero importa è il vino, ricco e variegato nei profumi, come equilibrato ed armonico al palato.
Villero: uno dei più celebri cru di tutta Castglione Falletto e delle Langhe. Morfologicamente il suolo è composto da marne elveziane di colore bianco e azzurro. Anche per questo produce vini ben strutturati e capaci di affrontare un lungo invecchiamento. In giovane età è austero e riservato, ma col passare del tempo diventa un chiacchierone, e riesce a collocarsi sempre in alto, nelle varie classifiche e degustazioni.
Ed infine venne il Bussia. Cru che non ha bisogno di presentazioni, potente ed elegante insieme, con coerenza è considerato dagli esperti ed appassionati, uno dei 5 migliori vigneti in assoluto.
Quello di Livia non tradisce le attese, e si conferma un grande Barolo. Profumi netti, definiti e notevolmente sfaccettati, insieme ad un palato perfetto, sorretto da ottime durezze, ci mostrano un vino eccezionale.
Ed eccoci alla fine, con le conclusioni.
Il mio lavoro mi porta a conoscere molte cantine, ed in ognuna trovo qualcosa di suo, che porto via con me. In genere è conoscenza: delle tecniche, delle esperienze e delle competenze. Delle volte, e molto raramente, capita siano le persone a fare la differenza. Mantengo il distacco professionale, ma segretamente me ne innamoro, e sono proprio loro ad entrare dentro di me.
Capita raramente, ma è per sempre.
Saggezza, praticità e conoscenza.
Livia, Lorenzo e Michele.
Ognuno nel proprio ruolo, ognuno fondamentale, perché il vino bisogna realizzarlo buono, ma anche farlo conoscere e infine venderlo.
“Se un albero cade nella foresta e nessuno lo vede, l’albero non è mai caduto.
Fabrizio Buoli