[…]”Il vino è come la poesia, che si gusta meglio, e si capisce davvero, soltanto quando si studia la vita, le altre opere, il carattere del poeta, quando si entra in confidenza con l’ambiente dove è nato, con la sua educazione, con il suo mondo. La Nobiltà del vino è proprio questa: che non è mai un oggetto staccato e astratto, che possa essere giudicato bevendo un bicchiere, o due o tre, di una bottiglia che viene da un luogo dove non siamo mai stati.
Che cosa ci dice l’odorato, e il palato, quando sorseggiamo un vino prodotto in un luogo, in un paesaggio che non abbiamo mai visto, da una terra in cui non abbiamo mai affondato il piede, e da gente che non abbiamo mai guardato negli occhi, e alla quale non abbiamo mai stretto la mano? Poco, molto poco.
Ho bevuto a Mosca lo Zinandàli della Georgia. Ma non essendo andato in Georgia, e non avendo letto un gran che sulla Georgia, e non sapendo quasi niente della Georgia, la mia fantasia, mentre sorseggiavo lo Zinandàli, oscillava incerta, vagava tra un palmento siciliano e un cru del Vallese. Lo stesso mi accade quando leggo, tradotta, una poesia di Lermontov. E persino Leopardi, non pare molto più vivo, chiaro e profondo, quando si conosce Recanati, o quando, almeno, si è imparato qualcosa su Recanati attraverso i libri?
Il metodo saite-beuviano, di immergere il più possibile un’opera letteraria nel suo ambiente e nel suo tempo, è ancora il migliore di tutti i metodi per capirla e per gustarla fino in fondo. Tale e quale per il vino. E l’operazione necessaria non è, credetemi, meno complicata: lo studio non è meno lungo né meno difficile. Il piacere enologico è molto più raffinato e complicato di quanto paia. Basta pensare come la bibliografia specifica che esiste su un dato vino sia infinitamente meno ricca della biblioteca specifica che esiste su un dato poeta. Bisogna, perciò, sopperire alla mancanza in qualche modo: e, prima di tutto, viaggiando, visitando i luoghi, parlando con i produttori e con i commercianti, leggendo, in seguito, tutto quanto, anche lontanamente, abbia rapporto con il vino che vogliamo “capire”. E che cosa mai può non avere rapporto con un vino? Innumerevoli le conoscenze che il critico enologico dovrebbe possedere: geologiche, geografiche, meteorologiche, storiche, letterarie, chimiche, meccaniche…Un buon “ritratto di un vino”, come quelli che Sainte-Beuve ci ha dato di tanti letterati e uomini politici, non è ancora stato scritto” …
Tratto da Vino al Vino Primo Viaggio. Autunno 1968; Nelle provincie di Siena e Firenze
Il vino è Poesia allo stato liquido. Come la poesia, il vino è soggetto ad interpretazione, e pur tendendo all’oggettività dell’analisi, solo i pazzi possono pensare che, perché sia giusta, un analisi dev’essere oggettiva. Perché chi analizza è un soggetto, con la propria cultura, con la propria intelligenza, con il bagaglio di esperienze, con il proprio insieme di profumi conosciuti, con il proprio numero di vini assaggiati nella vita, la propria lingua e il proprio naso, e con un preciso stato psico-fisico, che cambia anche nella stessa giornata.
Chi è analizzato è sì un oggetto, ma vivo, in movimento, in evoluzione. E quello che è ipoteticamente oggi, non sarà più tra qualche anno. Non necessariamente in meglio, naturalmente. Di certo sarà diverso. Ecco perché le degustazioni di un vino dovrebbero avere una data. Per cristallizzare l’istante, per fissarlo per sempre in uno spazio ed in un tempo ben determinati.
Nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Antoine-Laurent de Lavoisier
Fabrizio Buoli