Colline del Chianti metà agosto 2015
La partenza non è stata piacevole. Il contesto, alcune volte diventa più importante del testo.
Ero in vacanza in Liguria con i mie figli, CosAmAle, che sono rimasti ad Andora da mia sorella. Non starò via molto, con l’approssimarsi della sera sarò di ritorno.
Devo raccontare di vignaioli e di vino.
Dunque partire.
“…Volver… con la frente marchita,
Las nieves del tiempo platearon mi sien… “
Ritornare…con la fronte appassita,
le nevi del tempo argentarono la mia tempia…
Andora-La Spezia è una parte di viaggio anche nel tempo. Nel 1988-1989 per 14 mesi ho indossato gli abiti del marinaio, e ogni tanto tornavo e poi con la cinquecento blu ritornavo. Allora fantasticavo su quale sarebbe stata la mia sorte. Anche adesso lo faccio. Alcune cose non cambiano mai.
“…Sentir… que es un soplo la vida,”
Sentire che è un soffio la vita
Anche alla mattina presto l’atroce caldo di quest’estate non ha remore, e senza chiedere il permesso, s’insinua tra le pieghe della pelle, anche quando il sole è così basso, anche quando il sole non c’è.
“…Que veinte años no es nada,…”
Che vent’anni non sono niente
Gallerie. Attraversare la Liguria, è come percorrere una unica grande passaggio sotterraneo, con alcuni schizzi di sole, terra e mare.
Poi arriva la Toscana. E pare di tornare a riveder le stelle. [1] La Toscana ha tutto mare, pianure, colline, altopiani, montagne, paesi e città. Questa volta ne attraverso una parte, fino a Firenze Impruneta, poi verso Siena, San Casciano Val di Pesa e infine Badia a Passignano.
No, non dai vigneti che maggiormente hanno creato la fama dei Marchesi, ma qualche centinaia di metri oltre, versa la parte alta della collina. Via Passignano si srotola seguendo la cima del piccolo crinale di origini moreniche, e in prossimità dell’Abbazia a sinistra c’è il vigneto Tignanello, mentre più in basso sulla destra c’è il vigneto dove coltivano le uve per il Solaia.
“…Que febril la mirada, errante en las sombras,
Te busca y te nombra.” [2]
Che febbrile lo sguardo, errante nelle ombre, ti cerca e ti nomina
Ed io rapito dai ricordi, di istanti di vino vissuti in passato, riprendo coscienza accanto ad un uliveto. Ah casa! La mia famiglia frange le olive da 500 anni, quando vedo un ulivo mi sento a casa.
La strada diventa un bivio, a sinistra si va per il centro di pigiaturta dei Marchesi, a destra c’è il cartello, “Greve”. Per fortuna non devo scegliere. Se c’è l’opzione, scelgo sempre quella sbagliata.
La scuola, le donne, il lavoro, gli investimenti. Una linea continua che inizia dalla presa di coscienza e si prolunga all’infinito. Una lentissima, lunghissima serie di errori.
Riemergo.
Ecco un vigneto.
Sarà il merlot del Kaizen. Il nome del Supertuscan dell’azienda. Il più celebre. Spengo la macchina ed impavido esco ad affrontare l’approssimarsi dell’ora più calda.
“Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!” [3]
Il colore e la forma dei grappoli indica che la vendemmia è vicina e che quelle sono proprio piante di Merlot.
“Il merlot” diceva un vecchio vignaiolo “è la pianta più ignorante tra tutte le piante. Perché se la coltivi in cantina cresce, e fa anche dei bei grappoli”. La saggezza popolare.
Il caldo non mi lascia apprezzare come vorrei il panorama, ma mi spinge di nuovo in macchina per percorrere qualche decina di metri e parcheggiare davanti al casale.
Mi aspettano.
Mauro Bianchi, Fabio Ravasio e Hardi Wolf.
L’azienda è tutta qui. Il primo di Como, il secondo di Bergamo e il terzo tedesco di Germania.
Nessun toscano.
I primi due sono, in percentuali diverse, i proprietari, il terzo è il fattore.
Qualche nuvola a velare il sole ci consiglia di approfittare del momento ed avviarci per i campi.
A nord del Casale, ora trasformato in agriturismo, c’è il “Sangio”, diviso in quattro vigneti, occupa uno spazio di circa 5 ettari.
L’azienda la comprò mio padre nel 2006, da un toscano che si chiamava come me, Mauro. La mia famiglia lavora nel tessile, Io invece avevo studiato enologia a Milano. Ebbe, come si dice, un’informazione riservata e immediatamente partì.
Giunse alla mattina.
S’innamorò perdutamente.
Nel pomeriggio l’acquistò.
Sopra il Sangiovese, ulivi, e sopra ancora ai margini del bosco, c’è un vecchio vitigno di Cabernet Sauvignon.
Mezzo ettaro.
Cabernet? In nessun vino dichiarate Cabernet? Fate un vino che non conosco?
A riuscire a raccoglierlo! Era il tributo che pagavamo a Cerere [4] per aver sottratto terreno ai boschi. Questo è il vigneto più lontano dal casale, e subito li inizia la foresta. Gli animali dalla selva facevano sortite sempre fruttuose. In nove vendemmie ormai solo nel 2012 abbiamo raccolto qualcosa. E ovviamente quest’anno.
Quest’anno?
Abbiamo messo i fili elettrici sui confini.
Diabolica è la mente. Penso a mio padre, mio zio Ceno e mio zio Memo e alla maniera con la quale avrebbe risolto loro la questione Cabernet al primo grappolo mangiato.
Automatico illegalmente modificato per avere 7 colpi il primo, doppietta anarchica per il secondo e sovrapposto con strozzi per il terzo. Cartucce fatte in casa, pane fatto in casa, acciughe fatte in casa, “Brussu” [5] fatto dal pastore e bottiglione di vino, anche lui fatto in casa. Ma Biodinamico sia ben chiaro. E paziente attesa in baracca.
La voce di Fabio mi riporta al presente.
“Scendendo a valle troviamo ancora ulivi e poi appena sopra ed intorno alla cantina c’è il Merlot.”
Che tipo di agricoltura praticate?
L’unica ragionevole. Biologica di fatto e non dal certificato. Sai quanti soldi costa avere il certificato? E sai che ci sono un sacco di aziende che certificano, e non una sola? Poi perché dovremmo avere bisogno di qualcuno che ci certifica? Noi lo facciamo per noi. Diciamo che preferiamo farlo e non dirlo.
Piuttosto che quelli che lo dicono e non lo fanno…penso
Questa zona nell’800 era chiamata del 13, perché terreno, esposizione solare, ventilazione insomma tutto quello che serve a definire il Terroir, portano ad una naturale e perfetta maturazione del frutto e si riuscivano a raggiungere i 13 gradi sempre. Sai che il disciplinare biologico prevede che nel corso della fase produttiva sei obbligato a farne diversi trattamenti col rame in vigna? Noi ne facciamo generalmente uno.
Perché?
Perché non serve. Se la pianta è sana, si difende da sola! Sai da quanti anni si coltiva la vite?
Circa tremila anni se parliamo del mediterraneo e quindi della diffusione della stessa da parte dei fenici, prima, e tre-quattrocento anni dopo se parliamo dei Greci. Ma in realtà proprio in Toscana gli Etruschi coltivavano, sfruttando gli alberi come sostegno, le viti selvatiche intorno al VII secolo a.c.
Appunto. Credi che i fenici, greci, etruschi e romani usassero antiparassitari? Ragnetti, cicaline e parassiti esistevano anche allora. Dunque se la pianta è arrivata fino ad oggi è perché sa difendersi. Basta metterla nelle condizioni di essere sana.
Vendemmiamo e vinifichiamo separatamente non solo vigneto per vigneto, ma ogni singola parcella, poi solo prima di imbottigliare li uniamo.
Altri uliveti ci conduco giù per la china. Qui sono diversi. Li tengono bassi. Quelli della mia famiglia, in Liguria sono alti dieci metri.
All’estrema sinistra, scendendo, c’è il vigneto del Kaizen.
Kaizen è una parola giapponese, e la sua traduzione è “In continuo miglioramento”. [6]
Ai piedi dei filari vedo una lunga fila blu azzurro.
Mauro è nel “suo” regno e dice: Il Merlot, è vero che è una pianta, diciamo facile da coltivare, perché raramente subisce attacchi dai parassiti, il grappolo è piramidale, di media grandezza e compattezza, è alato, gli acini hanno buccia consistente, e la pianta produce in modo costante ed abbondante.
Però non bisogna dimenticare che, in base alla strada che prendi, il vino che otterrai sarà completamente diverso.
Infatti se è vero che, per fare un esempio, il merlot coltivano nel triveneto raggiunge anche produzioni di 150/180 quintali per ettaro, e si usa moltissimo per dare struttura e morbidezza nei tagli con altri vitigni, è anche vero che, se coltivato e gestito con sapienza dà anche Château Petrus.
Ormai tra i filari comprendo cosa fosse quella lunga striscia blu azzurro cangiante: grappoli.
Quindi tutti questi grappoli a terra…
Si, rappresentano la strada che vogliamo percorrere. Usiamo molto la potatura verde, cioè della parte vegetativa, per limitare la vigoria e per aumentare l’areazione, mentre per i grappoli ne lasciamo una decina per pianta fino a due tre settimane prima della vendemmia. Poi 5 o 6 li tagliamo e li abbandoniamo ai piedi delle viti. Perché i grappoli devono tirare linfa, e più ce ne sono, più tirano. Poi, dopo circa un mese dall’invaiatura (quando i grappoli iniziano a cambiare colore e da verde diventano blu) li tagliamo e li lasciamo a terra. Così la pianta abituata a spingere quel quantitativo di linfa, lo distribuisce sui grappoli rimasti, che così, molto più facilmente accumulano acqua, concentrano gli zuccheri e le sostanze estrattive. Mentre gli acini sacrificati, lentamente cedono nuovamente al terreno zuccheri, sali e sostanze nutrienti. E la pianta nutrita, resta sana.
Insomma i classici due piccioni con la fava.
Sempre per il discorso delle strade, alcuni usano questi grappoli per produrre vini rosé. Il problema è che quando li tagli sono a 9 gradi, poi per arrivare a 11?
Già le strade.
La cantina dicevamo. Primo lavoro eseguito nel 2006 l’ammodernamento degli strumenti enologici. Completamente interrata nel naturale dislivello della montagne, si vede esclusivamente la porta, sulla quale c’è scritto “Se il commerciale è il cervello dell’azienda, il campo e la cantina ne sono il cuore. Ma pazzi pur si vive, senza cuor si muore.”
Sorrido, ho visto scritta analoga all’ingresso della sala macchine di un cacciatorpediniere della marina militare italiana. Cambiavano i soggetti ovviamente. Niente commerciale, campo e cantina, ma coperta e sala macchine.
Adesso è Fabio a raccogliere il filo del discorso, e attacca dicendo: Il padre di Mauro, che è mancato nel 2011, lasciando un vuoto immenso, quando comprò il podere, pensò a me per aiutare Mauro. Noi ci siamo conosciuti a Milano quando studiavamo enologia. Durante gli stessi io sono stato a Bordeaux per apprendere in diversi Château. Tornato in Italia mi sono laureato, ed ho rilevato un enoteca nella bergamasca e un’agenzia di distribuzione di vini. Lui invece ha continuato a studiare. Poi ci siamo ritrovati ed ora siamo persino soci.
Mentre Fabio e Mauro si alternano nel racconto, Hardi sta sanificando i tini. Con lo sguardo indugio su di lui. Credo avrà una cinquantina d’anni, mentre è chiara la presenza di sangue teutonico. Biondissimo, alto almeno 1,90 e occhi azzurri.
Intuendo Mauro spiega: Hardi collabora con noi fin dal principio. Era già qui quando mio padre comprò, e rimase qui. La sua è stata una lontanissima scelta di vita. Erano gli anni ’80 quando venne in vacanza, ma rimase stregato. Non solo il castello di Sorci ad Anghiari è un luogo magico. Tutta la Toscana lo è. E restò per sempre. E’ il nostro preziosissimo fac totum, si occupa della cantina seguendo le direttive di Fabio, mi aiuta nel campo, e per concludere è il nostro guardiano, quando non ci siamo.
Non poteva che chiamarsi Wolf
Silenzio e sguardi interrogativi
Il signor Wolf in Pulp Fiction [7] risolve i problemi
Non ci avevo mai pensato, certo Hardi risolve altri tipi di problemi però.
Sorrido.
Non avevo alcun dubbio.
Hardi è un istituzione ormai. Conosce tutti, persino a Firenze. Alla domenica con pioggia, vento o sole inforca il suo Benelli e lo cavalca per le colline del Chianti.
Austero e silenzioso, tanto da sembrare avvolto d’un mantello algido, Hardy parla poco ed a voce rocamente bassa. Sembra un bellissimo esempio d’antitesi. Un gigante che parla sottovoce.
Cantina rinnovata completamente subito dopo l’acquisto. Tutti i fermentini in acciaio inox. Le barriques comprate a bordeaux da Silvain e Remond, si usano nuove per il Kai Zen e il Chianti Classico Riserva, poi al secondo passaggio sono riempite con il Sangiovese del Chianti Classico, e al terzo sono usate per il Prunello.
In passato avevamo anche i tonneaux, ma i risultati migliori li abbiamo riscontrati con le barriques, quindi li abbiamo abbandonati.
Che tecniche usate in cantina?
Pressiamo col torchio e non con le presse pneumatiche. Perché l’estrazione è molto più delicata. La fermentazione avviene spontaneamente sfruttando i lieviti indigeni dell’uva stessa. Si protrae per 25 giorni ad una temperatura media di 27°C. Effettuiamo travasi regolari e non facciamo nessuna filtrazione.
Qui facciamo tutti tutto, però Mauro si occupa prevalentemente del campo, mentre io della cantina. Il mio lavoro in cantina è veramente semplice, perché i grappoli quando arrivano qui sono perfetti. Devo solo non rovinare il tesoro che mi è stato donato.
Piccola, funzionale, tutte le zone le abbracci con uno stesso sguardo, sull’altro lato, quello più vicino alla montagna, la cantina ospita le botti, dove il vino è “atto a divenire”. A pensarci, tutti i vini del mondo sono un po’ Kaizen.
Prima in vigna mi avete detto che nel 2012, annata strepitosa ben oltre 2009 e 2010, e la 2011?
Qui ha grandinato e non si è raccolto nulla.
Dunque a Badia a Passignano nel 2011 ha grandinato e Torcilaqua non ha raccolto nulla.
Le domande affollano la mente come tifosi allo stadio. In soccorso mi viene Giuseppe Garibaldi.
Non lui. Il mio Giuseppe Garibaldi era il professore di geografia all’Istituto Tecnico Nautico.
“La grandine colpisce la terra disegnando una ipotetica S. Dunque può accadere che la grandine distrugga il tuo campo e non quello del vicino.”
Senza Giuseppe Garibaldi avrei pensato male.
Nel 2012 siete riusciti a vendemmiare il Cabernet. Cosa ne farete?
Un vino in purezza.
E il nome?
Non è importante intanto, ci stiamo ancora pensando, invece ti posso dire che sarà buonissimo.
Dobbiamo ancora decidere etichetta, tipo di bottiglia, confezione. C’è tempo.
Adesso però dopo tutte queste parole mi s’è arsurata la gola.
Andiamo a bere qualcosa?
Con tutti questi chilometri in macchina e a piedi, non mi darai dell’acqua spero?
In totale le bottiglie prodotte sono 22.000, ne troveremo una per noi?
Adesso non si degusta, si beve e si mangia.
Tanti anni fa, un anziano albergatore di Andora, il signor Mastro, mi disse in strettissimo dialetto Ligure: “Guarda Fabrizio, nella vita ci sono tanti momenti belli, ma come quando metti le gambe sotto il tavolo, non ce n’è nessuno.”
E sul tavolo di legno antico c’erano, appena estratte dalla cantina, diverse sfaccettature di Sangiovese e Merlot. Uno sguardo ammirato sulla lentezza del tempo e le pregevoli evoluzioni che al vino dona. La velocità alla quale si muove il mondo vorrebbe che anche i vini fossero immediatamente pronti. Anche quelli che per loro natura avrebbero bisogno di qualche anno di riposo.
Se non sei vegetariano, riprende Mauro, metterei sulla griglia quattro fiorentine.
Sono onnivoro ed educato. Quando si va a casa d’altri non si decide il menu. Poi certamente la carne sarà di qualità.
Ho un amico macellaio a Sambuca Val di Pesa. Vedrai.
Ricordate, l’accostamento per tradizione non sbaglia mai.
Perché si è cristallizzato nel tempo.
Mentre l’immensa fiorentina si trasformava in piacere abbiamo assaggiato:
Chianti Classico Riserva 2006 Indimenticabile
Chianti Classico Riserva 2007 Ottimo
Chianti Classico Riserva 2008 Ottimo
Chianti Classico Riserva 2009 Strepitoso
Chianti Classico Riserva 2010 Un ragazzino laureato. Si ma con 110 e lode.
Kaizen 2006 Evidentemente grande annata per Torcilacqua: Indimenticabile
Kaizen 2007 Strepitoso
Kaizen 2008 Ottimo
Kaizen 2009 Strepitoso
Kaizen 2010 Strepitoso
Piccola nota di degustazione.
Oggi abbiamo potuto confermare una delle tante osservazioni di quello straordinario assaggiatore che è Nicola: l’effetto camino. Non nel bicchiere, ma della bottiglia. Nicola ha osservato e analizzato l’impatto diverso sul fruitore, del vino nel bicchiere, in relazione alla quantità di liquido presente nella bottiglia.
Non lo spiegherò oggi però. Già troppi incisi. Al prossimo racconto.
Il pomeriggio volge al termine, ed io devo tornare.
Arrotolando un filo perso negli anni
Dalla terra al mare.
Prima di partire chiedo il permesso di rivedere in solitudine il vigneto di Cabernet.
Questa è la parte più alta della collina, e la pendenza si sente.
Sapevo che vi avrei trovato qui.
“Au sammu che ti u saxevi, ti nai messu ti chi.”(Lo sappiamo che lo sapevi, ci hai messo tu qui.)
Si però siamo ad Agosto, la caccia è chiusa ad Agosto!
“Ma mia che sta chi a nu l’è caccia” (Ma guarda che questa non è caccia)
Come non è caccia? Avete il fucile, le cartucce e provviste per un mese.
“A caccia a l’è alantù che ti ti vai in tu zerbu a sercò e bestie. Aua i sun velli chi vegnen chi a mangiò a me l’uga. Nuiautri a difendemmu a noscia tera.”
(La caccia è quando tu vai nel bosco a cercare le bestie, e non quando sono loro a venire nel mio campo a mangiare la mia uva. Noi difendiamo la nostra terra.)
Già
“…Considerate la vostra semenza,
Fatti non fosti a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza” [8]
SSSTTT sta sittu. Cü ü riva
Cosa arriva?
Ma a to ditu de sta sittu che ghe sun i tedeschi (ma ti ho detto di stare zitto che ci sono i tedeschi)
I tedeschi? Ah Ah O zio, ma la guerra è finita da settantanni.
Ti u disci ti. A guera vea a l’è alantü ca l’è inisiò. (Lo dici te la guerra vera è iniziata allora)
Paralizzato non so cosa pensare. Poi sorrido…Hardi
Ecco in realtà ci sarebbe un tedesco che lavora qui.
Ti u vegghi chi ghe sun i tedeschi (Lo vedi che ci sono i tedeschi)
Si ma non è di quei tedeschi là.
Aua secundu vellu i ghe sun tedeschi che i nu sun tedeschi. E di ma quantu ti ghai dau pe fallu studià?
(Adesso secondo lui ci sono tedeschi che non sono tedeschi. Ma quanti soldi hai speso per farlo studiare?)
Lascighe zerbü conclude sardonico mio padre. ( Frase tipica, intraducibile letteralmente in italiano. Il senso è: non entrare in argomenti spinosi.)
SSSST
Annuisco con la testa. Mi abbasso per nascondermi meglio. Li guardo darsi occhiate e segni d’intesa, per dividersi zone di attenzione e tempi d’intervento. Mi rassegno. Non si può raccontare la bellezza della diversità del mondo a chi è sordo.
Cercando di non fare rumore, acquattato arretro.
Alcune cose non cambiano.
Solo allora.
Quando la smetteremo di aver bisogno di un nemico, per esistere.
Solo allora, il genere umano evolverà.
Fabrizio Buoli
[1] Dante Alighieri La Divina Commedia, Inferno, Canto XXIV verso 139
[2] Carlos Gardel Volver 1935 (La citazione di questo celebre tango, è anche un omaggio a mia madre Carmen, inebriante ballerina ed appassionata estimatrice di Carlos Gardel)
[3] Eugenio Montale Non chiederci la parola che squadri da ogni lato in Ossi di Seppia, edizione gobettiane di “Rivoluzione Liberale” Torino 1925
[4] Cerere (in latino: Ceres, Cereris e in osco: Kerri o Kerres o Kerria) fu una divinità primitiva della fertilità presso le popolazioni latine. In seguito fu completamente assimilata alla dea greca Demetra. Figlia di Saturno ed Opi dunque sorella di Vesta, Giunone, Plutone, Nettuno e Giove. Il mito narra che la dea dell’agricoltura, Cerere, aveva una bellissima figlia, di nome Proserpina. Plutone, il dio degli Inferi, la vide un giorno, mentre coglieva fiori selvatici nei campi, e folgorato dalla sua bellezza e dalla sua grazia, s’innamorò perdutamente di lei. Sicché la rapì sul suo cocchio e scomparve in una voragine, portandola con sé nel regno degli Inferi.
Cerere la aspettava nel suo palazzo d’oro e non vedendola tornare cominciò a cercarla nei boschi, nei campi, in ogni foresta, chiamandola sempre più disperatamente. Per quanto la chiamasse, Proserpina, dal profondo degli Inferi, non la sentiva e piangeva. Pianse finché il Sole, che aveva assistito al rapimento, decise di raccontarle l’accaduto. Cerere andò da Giove, per supplicare lui e gli altri dei di aiutarla a liberare Proserpina. Ma nessuno l’assecondò. Giove, se non propriamente costretto, tendeva a non voler prendere posizione contro i fratelli. Disperata, lasciò l’Olimpo e prese a peregrinare tra i campi, poiché non si rassegnava. Le sue lacrime non cessavano di scendere e appena toccavano il terreno, seccavano gli alberi e tutta la vegetazione. Gli uomini, privati dei frutti della terra, cominciarono a soffrire la fame.
Niente più germogliava, e gli animali morivano perché non c’era più vegetazione. Alla fine Giove ebbe pietà degli uomini e inviò Mercurio, il messaggero degli Dei, all’inferno, con l’ordine di lasciare libera Proserpina e restituirla a sua madre. Mercurio si recò da Plutone e gli comunicò il messaggio di Giove. Plutone non poteva contrastare il volere del Re degli Dei e chiamata la fanciulla, le disse che era libera di andarsene, ma le diede da mangiare alcuni chicchi di una melagrana magica: chi la assaggiava era preso dalla nostalgia di tornare. Proserpina lasciò l’oscurità degli inferi per risalire alla luce del sole. Cerere, vedendola, impazzi di gioia e improvvisamente la terra ridivenne verde, fiori e gemme spuntarono dappertutto e animali e uomini poterono di nuovo sfamarsi e vivere felici. Passarono alcuni mesi. Un giorno Proserpina, colta da nostalgia disse alla madre, che pur essendo felice con lei, sentiva intimamente il bisogno di tornare da suo marito.
Cerere capì che Plutone le aveva fatto assaggiare la melagrana magica. Per quanto tentasse di convincerla a rimanere non potette trattenerla. Proserpina tornò da Plutone e rimase con lui alcuni mesi. Durante questo periodo, gli alberi persero le loro foglie e i loro frutti, la neve ricoprì la terra e i venti del Nord presero a soffiare, portando il gelo e le tempeste. Passato l’effetto della melagrana magica, Proserpina tornò dalla madre, la terra ridivenne verde, e si coprì di fiori e foglie. Allora Giove stabilì ciò che di fatto già accadeva. “Proserpina, passerà parte dell’anno con Cerere, sua madre, e parte con suo marito, Plutone. Così tutti saranno soddisfatti”. Ecco spiegata l’origine delle stagioni.
[5] Il Bruss, in ligure Brussu (probabilmente dall’occitanico brousse, un formaggio fresco di pecora) tradizionalmente consisteva in pezzi di un formaggio o anche di vari formaggi di pecora (ci sono anche varianti a base unicamente di ricotta) mescolati con latte sempre di pecora e spezie ridotti a crema e lasciati rifermentare all’aria per un tempo variabile. Per stabilizzare il composto si usava quindi aggiungervi della grappa (talvolta del vino bianco). In Piemonte ed in Liguria ne esistono numerosi varianti. Il gusto è acceso e il sapore decisamente piccante. Adatto a palati coraggiosi. Riconosciuto come Pat (prodotti agroalimentari tradizionali) dal Ministrero delle politiche agricole alimentari e forestali, Decreto 7 giugno 2012. Dodicesima revisione dell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali – Allegato in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n.142, 20 giugno 2012, pp. 35 e pp. 50
[6] Kaizen (改善) è la composizione di due termini giapponesi, KAI (cambiamento, miglioramento) e ZEN (buono, migliore), e significa cambiare in meglio, miglioramento continuo. È stato coniato da Masaaki Imai nel 1986 per descrivere la filosofia di business che supportava i successi dell’industria Nipponica negli anni ‘80 con particolare riferimento alla Toyota tanto da rappresentare il sinonimo di Toyotismo. La vision della strategia Kaizen è quella del rinnovamento a piccoli passi, da farsi giorno dopo giorno, con continuità, in radicale contrapposizione con concetti quali innovazione, rivoluzione e conflittualità di matrice squisitamente occidentale. La base del rinnovamento è quella di incoraggiare ogni persona ad apportare ogni giorno piccoli cambiamenti il cui effetto complessivo diventa un processo di selezione e miglioramento dell’intera organizzazione.
[7] Pulp Fiction 1994, Soggetto e sceneggiatura Quentin Tarantino, Roger Avary. Regia Quentin Tarantino.
[8] Dante Alighieri La Divina Commedia, Inferno, Canto XXVI, ottava bolgia, ottavo girone, consiglieri di frode, Ulisse versi 118-120