Vinitaly 2017 #youngtoyoung17

#youngtoyoung2017
Giovani produttori incontrano giovani consumatori
Verona domenica 9 aprile 2017
Quest’anno la mia giornata di domenica termina con la degustazione di tre giovani produttori. Pur essendolo davvero, di età dico, tutte le tre aziende hanno una storia che inizia oltre cento anni fa.
Storie diverse, storie lontane, ma unite dal filo che tutte le unisce: la terra e la poesia.
 
Produttore D’Ambra Vini d’Ischia
Azienda storica, che vanta origini sul finire dell’800. Il fondatore è Francesco D’Ambra, soprannominato Don Ciccio, nato nel 1863 da una famiglia di viticoltori locali. Oltre che alla produzione si dedica al commercio di vini. Nel corso degli anni si susseguono diverse generazioni, fino al 2000 quando la proprietà passa all’enologo Andrea D’Ambra, che continua una tradizione di famiglia, iniziata nel 1888 dal nonno Francesco.
Casa D’Ambra coltiva esclusivamente vitigni autoctoni: Biancolella, Forastera e l’Uvarilla tra quelli a bacca bianca, il Piedirosso e la Guarnaccia tra quelli a bacca rossa. La guarnaccia non è propriamente autoctona, perché ormai le prove ampelografiche hanno dimostrato che ha avuto origine in Spagna. Tuttavia è anche vero, che gran giramondo qual è, in ogni posto che ha raggiunto, ha assunto nomi diversi e manifestazioni uniche. Credendo al valore della diversità, nel 1995, nella tenuta Frassitelli, è stato allestito un campo sperimentale, una sorta di banca genetica per la coltivazione delle varietà scomparse. Così Guarnaccia e Guarnaccello, la Coda Cavallo e Streppa rossa, Rillottola e il Don Lunardo, e poi la Catalanesca, l’Uva romana, l’Uva procidana, e l’Uva coglionara, potranno tornare ad essere coltivate.
Allora se la famiglia Bianco è il poeta che usa la tradizione per sconvolgere la tradizione, la famiglia D’Ambra è il poeta, che cerca tra le pieghe della nostra memoria la ricchezza della diverso, e ne fa arte.
Oggi a raccontarci dei suoi vini c’è Marina d’Ambra, figlia di Andrea che in azienda si occupa di commercio. Oggi no. Oggi ci presenta:
 
Ischia Biancolella 2016
Uve Biancolella 85%, Forastera, San Lunardo e Uva Rilla 15%
Colore giallo paglierino.
Al naso ha splendide note di frutta gialla matura. Pesca e mela golden in particolare. Poi arrivano i fiori, quelli gentili come la camelia e quelli di cespuglio, di macchia mediterranea.
Al palato è affilato, con una notevole mineralità. Ma non è che la giovane età. Deve ancora armonizzarsi. Ha stoffa raffinata, e col passare del tempo da buono diverrà buonissimo. Tornano le sensazioni provate al naso, con l’aggiunta di agrumi. Persistente e suadente.
 
Produttore La Crotta de Tanteun e Marietta
La Crotta de Tanteun e Marietta, che a breve cambierà nome in Tandeun e Marietta, nasce nel 2012. Quindi, delle tre aziende presenti oggi all’evento Young to Young è la più giovane. Eppure le loro radici affondano nelle vigne valdostane da generazioni. Tandeun e Marietta sono i bisnonni di Alessandra e Federico. Tandeun lascia in eredità la struttura dove oggi c’è fisicamente la cantina. Marietta, sempre in eredità, lascia una vigna al loro padre, con l’impegno di mantenere su quell’appezzamento la vite.
Le traiettorie che disegna la vita non sono sempre lineari, e così la vigna fu espiantata e i due fratelli fecero altre esperienze. Poi un giorno, forse stanchi di quello che avevano prima, forse curiosi di quello che si sarebbe potuto essere, decisero di volerci provare. Si unirono, sistemarono l’appezzamento, lo reimpiantarono e adeguarono la cantina. Cantina che ha le particolarità di essere nel centro di Aosta, e di ospitare al suo interno un antico mulino. Il mulino di Ressaz, durante i lavori di restauro saltò fuori così, quando nessuno era a conoscenza della sua presenza.
Non si può negare il fascino di una storia, iniziata quattro generazioni prima, e riiniziata nel 2012. Come acqua, che scivola nel sottosuolo per chilometri, per poi all’improvviso riuscire.
Vallée d’Aoste Pinot Gris 2015
Colore giallo paglierino con evidenti tratti oro.
Al naso, ha i tratti agresti del vino sincero, con agrumi dal colore arancione, e fiori di campo. In realtà sono di macchia, come la ginestra. L’uva stessa, emerge tra gli altri.
Al palato ha materia ben definita. In sostanziale equilibrio tra morbidezze e durezze. A volerne citare una per parte, la cremosità dei poli-alcoli spiccano da un lato, e la pregevole mineralità dall’altro. Persiste con piacevolezza.
 
Produttore Cantina Mongioia
Santo Stefano Belbo è un piccolo paese in provincia di Cuneo. E’ il comune che ospita la cantina Mongioia. Prima del moscato di Maria e Riccardo Bianco, Santo Stefano Belbo, era celebre per aver dato i natali a Cesare Pavese, grandissimo scrittore e poeta del secolo scorso. Per la letteratura, Santo Stefano Belbo era molto di più di un luogo natio, era il ricordo ovattato e disincantato della sua infanzia. Fonte, pura e limpida, dove attingere ispirazione per gran parte delle sue opere. Il ricordo di vacanze estive trascorse senza pensieri. Era il luogo dell’immaginazione, della fantasia.
Maria e Riccardo Bianco non sono, che un altro modo di fare poesia. Perché la Poesia nasce dalla uomo, racconta l’uomo. Le sue passioni, i suoi timori, le sue speranze e la sua visione del mondo. Il vino è tutto questo. E’ la poesia della terra.
Come Pavese, Maria e Riccardo Bianco raccontano Santo Stefano Belbo, ma in un’altra maniera, con un altro linguaggio.
Nel 2013 raccoglie il testimone dal padre Marco, uno dei primi viticultori, che negli anni 90, abbassò notevolmente le rese per ettaro. Decide di dedicarsi esclusivamente al vitigno moscato bianco. Sa di avere nella maturità dei suoi vigneti la carta vincente. Piante che anno età media di 90 anni, con le più vecchie che arrivano fino a 150 anni. Producono poco, ma raffinatissimo. Santo Stefano Belbo e Castiglione Tinella sono i due paesi, che possono vantare i migliori vigneti.
Riccardo, uomo intelligente e curioso, non si accontenta. Non gli basta il merito di produrre uno tra i migliori moscati d’Asti. Se l’uomo si accontentasse di ciò che scopre, non scoprirebbe mai nulla. Riccardo ha un cruccio. Quello di voler sottrarre il Moscato al tradizione ruolo di comprimario. Vino dolce e dalla estrema bevibilità, concludeva i pasti per accompagnare una gran varietà di dessert. Il protagonista sulla tavola era stato qualcun altro. Magari più di uno. Una bollicina e un bianco, oppure un rosso. Non di certo un moscato.
Riccardo, mostrando la duttilità dei suoi moscati, capaci di accompagnare felicemente dai crudi di mare, ai formaggi erborinati, gli ha aperto le porte al palco principale: quello delle pietanze.
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Moscato d’Asti Crivella 2016
Colore giallo paglierino.
Al naso impressiona per eleganza. Non solo per la varietà dei profumi, ma anche, ed in particolare, per la qualità degli stessi. Salvia, pesca gialla e agrumi sono talmente vividi, da poterli quasi raccogliere. Aleggiano sul contorno profumi di smalto, e sì…sorprendono. Perché non te li aspetti.
Al palato è dolce ma non sfacciato, di certo il Moscato d’Asti, a tappo raso, meno dolce che abbia mai assaggiato. Dotato di un’incredibile persistenza, conduce al secondo bicchiere quasi senza accorgersi.
Un campione assoluto.
Aveva ragione Mario Soldati: Il vino è la poesia della terra.
 
Fabrizio Buoli